The Night Logan Woke Up, recensione (no spoiler) della serie TV di Dolan

The Night Logan Woke Up, recensione (no spoiler) della serie TV di Dolan

La nuova serie TV di Xavier Dolan, “La nuit où Laurier Gaudreault s’est revéillé”, uscita a novembre 2022 in Canada e a gennaio in Francia, è l’ennesima dimostrazione della capacità del regista canadese di raccontare i drammi dell’essere umano.

Il gesto sovversivo

Non è un caso che la prima serie televisiva di Xavier Dolan si apra con la morte di una madre. Sintomo forse di una poetica alla (disperata) ricerca di nuovi lidi da esplorare, il primo episodio di The Night Logan Woke Up sembra davvero voler chiudere un cerchio. Sembra quasi che Dolan ci dica: “Ho voltato pagina, non sono più quello di una volta”. E lo fa mettendo in scena la morte di una madre, anzi delLA madre, in quanto interpretata da Anne Dorval, che nei film del giovane regista canadese aveva già rivestito il ruolo materno ben quattro volte. La madre muore e la storia può iniziare, innescata proprio da tale evento.

È un’operazione sovversiva e allo stesso tempo l’inesorabile chiusura di un movimento finora progressivo: se l’opera prima di Dolan (J’ai tué ma mère) era incentrata intorno a una madre “debole”, incapace di essere mater , e Mommy su una madre forte, determinata e “vincente su tutta la linea”, in The Night Logan Woke Up Dolan ci mette di fronte alla madre “dell’eredità”. Madeleine, infatti, è una madre che non ha possibilità di redenzione, una madre alla fine, senza futuro: Dolan ci pone davanti a una donna morente, quasi incapace di parlare, che non ha la possibilità di rimediare ai propri errori. Madeleine, nel suo essere privata della parola, diventa simbolo di un regista che sente “di aver già detto tutto ciò che doveva dire”.

La morte della mater

Forse solo la morte della madre, corrispondente a un cambiamento nella poetica, può restituirgli la parola. E così, se il motore dell’azione è proprio la morte di Madeleine, anche la donna/madre sembra poter ritrovare il dono della parola solo dopo la propria morte (attraverso numerosi flashback). Forse perché la madre, in fondo, non può davvero del tutto morire. Se, come sostiene Lacan, la creatività e il desiderio dell’essere umano sono orientate da un fantasma interiore che non possiamo in alcun modo controllare, allora è facile spiegare perché, nonostante la morte, Madeleine continui ad infestare tutte le cinque puntate della serie, seppur senza rivelarsi mai fondamentale ai fini di quelli che Roland Barthes definiva nuclei narrativi. Ecco perché The Night Logan Woke Up, nonostante diverse novità stilistiche e non solo, è profondamente una serie dolaniana. Perché dal fantasma non si sfugge, così come dal desiderio (e dalla madre). E così al centro della serie c’è la drammatica vicenda di una famiglia, un altro nucleo ardente della poetica dolaniana.

La famiglia

Al centro c’è la famiglia. Una famiglia diversa rispetto a quelle viste nei suoi film, ma non troppo lontana da quella di E’ solo la fine del mondo, film in cui Dolan metteva in scena il ritorno a casa di Louis, malato terminale, dopo dodici anni di lontananza dai propri cari. E anche in The Night Logan woke Up si assiste effettivamente a un ritorno, dopo decenni di lontananza. Certo, si potrebbe obiettare che sia Juste la fin du monde che La nuit ou Laurier Gaudreault s’est réveillé sono tratte da due pièce teatrali e quindi non opere originali scritte dal regista canadese. Tuttavia, è Dolan che ha scelto queste opere, forse per raccontare temi che sentiva particolarmente vicini o forse perché affascinato da esse. Sicuramente, però, l’opera di Lagarce e quella di Bouchard trattano temi che già si dispiegavano nella filmografia di Dolan. 

Un nuovo medium

The Night Logan Woke Up, quindi, mentre cerca di allontanarsi dalla poetica e dallo stile del proprio autore, si accorge di non poterlo fare del tutto: il risultato è che, alla fine, ci si rende conto che sono molte le scene caratterizzate da un’”estetica pop”, con un’identità ben riconoscibile e un marchio inconfondibile. Certo, Dolan è consapevole di aver a che fare con un medium per lui nuovo (la televisione) e dimostra invidiabili capacità di adattamento: talvolta usa il colpo di scena per concludere un episodio, (ab)usa dei flashback per dare una tridimensionalità ai personaggi e mette in scena una storia che si articola perfettamente nei cinque episodi. 

La narrazione

A livello narrativo, The Night Logan Woke Up ha due grandi punti di forza: l’imprevedibilità della storia e la caratterizzazione dei personaggi. Dolan ci mette di fronte a una storia, dai “contorni” sfumati e impercettibili, che, come una Polaroid, col passare dei minuti diventa sempre più nitida rivelando una discreta complessità di fondo e una grande abilità autoriale nella costruzione dell’intreccio. I personaggi, interpretati in gran parte dagli attori della pièce, sono analizzati minuziosamente attraverso continui flashback (forse un po’ troppi) che il più delle volte sembrano illustrare un passato parzialmente edenico che trova una totale opposizione in un presente in cui dominano il pessimismo e la decadenza. Nel “tempo presente” che Dolan ci racconta, infatti, tutti i personaggi, seppur con grandi differenze, sembrano avere qualcosa in comune: sono tutti profondamente infelici

Regia, montaggio, colonna sonora

Anche a livello formale si rasenta la perfezione, grazie al fatto che Dolan è un autore che ha uno stile ben definito e che non teme gli eccessi. La sua è una regia che contiene grande soggettività autoriale. Più particolare e diverso dal solito, invece, l’uso del montaggio che, in sintonia con il genere dell’opera, talvolta distorce le immagini, le “confonde”, “rompe” la loro naturale progressione. Una menzione speciale va fatta alla colonna sonora, composta da Hans Zimmer: un vero e proprio valore aggiunto per una serie come questa. La sigla, grazie al tema musicale, vi ossessionerà per qualche settimana.

Per scrivere di più su The Night Logan Woke Up (su cui ci sarebbe ancora tanto da dire) dovrei entrare nello specifico e, di conseguenza, fare spoiler, ma non lo farò, dal momento che l’uscita italiana della serie sembra (scandalosamente) ancora lontana (ma si spera comunque in qualche miracolo).

In sintesi, Dolan mette in scena un’opera complessa e ambiziosa, riuscendo a vincere una sfida tutt’altro che facile. La mia valutazione oscilla tra il 4,5 e il 5 (anche grazie a un finale da brividi e autocitazionista), ma prima di pronunciarmi definitivamente attendo un rewatch che avverrà solo quando la serie verrà finalmente distribuita nel nostro paese.